Storia

La storia di questa masseria passa attraverso la leggenda secondo cui nell’estate del 1220 San Francesco, di ritorno dall’Egitto e dopo essere stato ospitato per alcuni giorni a Mottola, si sarebbe intrattenuto con alcuni fedeli poco prima di San Basilio, presso la massaria sistente nota come Petra Cavallo. Come segno tangibile del suo passaggio, il Padre Serafico di Assisi avrebbe lasciato l’impronta del suo viso impressa sulla pietra usata come cuscino durante il suo soggiorno.

Dopo la soppressione degli ordini religiosi voluta da Murat (1809), la masseria fu tolta ai Padri Conventuali e, a metà Ottocento, fu acquistata dal barone massafrese Ferdinando Notaristefano, insieme alla sorgente di un campo vicino, il pozzo delle Matìne. Noto per il suo forte senso religioso e conoscendo la leggenda che legava quel luogo al Santo di Assisi, il barone cambiò il nome della masseria da Petra Cavallo in San Francesco, diede il suo nome ad uno dei suoi figli e fece costruire una piccola cappella in onore del Fraticello.

Durante gli anni del brigantaggio, non lontano dalla masseria si trovava il covo dei briganti guidati da Rocco Chirichigno, detto Coppolone. Nel 1861 l’affittuario della masseria era l’esattore comunale mottolese Giuseppe Antonio D’Onghia che un giorno, durante una violenta discussione, schiaffeggiò in pubblico un suo gualano. L’uomo, umiliato dal gesto e dalle parole, lasciò che i briganti lo catturassero e lo portassero dal loro capo, gli raccontò la lite e convinse Coppolone a dargli una lezione. Il giorno dopo i briganti irruppero nella masseria San Francesco e padron Giuseppe si nascose nel grottone, al di sotto della proprietà. Fingendo di avere paura, il gualano lo seguì e fece strada ai banditi che lo catturarono e lo legarono ad un albero infestato di formiche fino alla consegna del riscatto. Questo episodio dimostrò come l’intera proprietà fosse facilmente attaccabile e si decise di chiudere la corte per tenere sempre sotto controllo tutti i suoi beni, prevenendo incursioni esterne.

Dopo la Prima guerra mondiale, la masseria fu messa in vendita e nel 1922 fu acquistata dai fratelli Gennaro e Giuseppe Leogrande che dopo due anni divisero sia il terreno che l’immobile: la zona a nord, con il fabbricato più antico, andò a Gennaro; la costruzione più recente, voluta dai D’Onghia, andò a Giuseppe. Intanto l’azienda agricola continuò ad avere una certa attività agricola e pastorale, si intensificò l’allevamento di capre, pecore, mucche podoliche, equini, suini, colombi, galline e tacchini, si produssero animali per la carne e ottimi prodotti caseari.

Si verificò un evento strano: i tacchini nascevano storpi e spesso morivano. Gli abitanti della masseria iniziarono ad associare questo fenomeno con il fatto che la chiesetta, ormai sconsacrata e abbandonata, era usata per le covate dei tacchini. Maria Miccolis, moglie di Gennaro Leogrande, ne parlò con il mottolese don Alessandro Curci che le consigliò di riconsacrare la chiesetta. Ogni domenica arrivava un prete in calesse da Mottola o da Castellaneta per officiare la messa e furono celebrati anche matrimoni, e il fenomeno scomparve.

Dal 1928 iniziarono i lavori per l’allargamento della strada Mottola-San Basilio che incrementò molto la viabilità e determinò l’abbandono dell’antichissimo Tratturo Regio Martinese che rasentava la masseria e che, fino ad allora, aveva contribuito ad una buona economia di tutta la zona, mettendo in contatto la zona salernitana con Matera, fino alla Murgia di Martina Franca. Molti di quelli che attraversavano quei percorsi stringevano amicizia con gli abitanti di masseria San Francesco, tanto che i rapporti umani si tramandavano di padre in figlio, e l’ospitalità offerta era nota tra i viaggiatori usuali. Nel secondo dopoguerra furono fatti importanti lavori di manutenzione e allargamento della masseria. Tra il 1957 e il 1958 i fratelli Leogrande, ormai anziani, affidarono la conduzione dei loro beni e terreni ad alcuni dei loro figli, per non frazionare troppo l’intera proprietà. Oggi la masseria è abitata da tre famiglie imparentate tra loro: Giuseppe D’Onghia (figlio di Vito D’Onghia e di Elisa Leogrande), Diego Ludovico (figlio di Marco Ludovico e Nicoletta Leogrande) e Gennaro Leogrande (figlio di Vincenzo Leogrande) con sua madre Maddalena D’Onghia.